5 Domande a Daniela Silvestre, Responsabile BU Porti e opere a rete Iride

L'ing. Daniela Silvestre coordina la Business Unit Porti e opere a rete dell'Istituto Iride. Fa parte del team Iride da 13 anni

Di cosa si occupa in qualità di responsabile della Business Unit?

Dal punto di vista prettamente “operativo” l’impegno è quello classico di gestione di una business unit, ovvero il management delle commesse seguendone i vari step: partendo dagli aspetti procedurali-amministrativi ed economici di acquisizione degli incarichi e di interlocuzione con i committenti, di organizzazione dei gruppi di lavoro e di confronto con i vari responsabili di progetto, fino alla verifica della corretta predisposizione e soddisfacimento dei nostri standard di qualità e la successiva consegna entro il rispetto delle tempistiche definite dai committenti.

Accanto a tali aspetti “operativi”, tengo però a evidenziare come nello svolgimento di tale ruolo, ci siano due ulteriori obiettivi: il primo rivolto verso l’esterno, ovvero il desiderio di produrre sempre lavori di massima qualità, continuando a studiare e cogliere gli stimoli derivanti dal dibattito disciplinare in merito all’ambiente, il secondo verso l’interno, inteso come il gruppo di collaboratori, cercando di trasmettere loro la passione verso questo tipo di approccio lavorativo.

 

La BU Porti e Opere a Rete collabora da oltre 10 anni con Terna: quali sono le maggiori complessità che dovete affrontare?  

Sicuramente l’attività ormai consolidata di collaborazione con Terna, la società proprietaria della Rete elettrica di trasmissione nazionale (RTN), ci ha portato nel corso degli anni (ormai dal lontano 2012) ad affrontare diverse complessità, basti pensare solo come la specifica attività di supporto nella procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) abbia come oggetto il Piano di Sviluppo della RTN a scala nazionale, che interessa quindi l’estrema varietà dei contesti, sia ambientali che sociali, caratterizzanti tutto il territorio italiano.

Ma accanto alla parola “complessità” parlerei di “opportunità”, ovvero la possibilità di poter partecipare allo sviluppo, sin dai primi anni di introduzione della procedura VAS nello scenario legislativo italiano, di una nuova metodologia che permettesse di introdurre l’allora innovativo, ma verosimilmente sempre più attuale, concetto di sostenibilità sin nella fase della pianificazione territoriale e non solo nelle successive fasi progettuali delle singole opere.

Ciò vuol dire ragionare a livello di strategie e obiettivi, fornendo indicazioni cogenti, ma al contempo adattabili all’estrema eterogeneità dei territori interessati, tali da orientare le successive scelte realizzative, affinché sia garantito l’equilibrio tra le esigenze legate allo sviluppo e quelle legate alla salvaguardia ambientale attuali e future.

 

E per quanto riguarda le opere portuali?

Data anche la mia formazione, sono sempre stata affascinata da questo tipo di infrastrutture, intese come ultimo confine tra la terra e il mare e, approdata in Iride ormai quasi 13 anni fa, ho avuto l’opportunità di seguire le procedure ambientali relative a porti di interesse nazionale.

In merito alla complessità delle procedure ambientali legate a tale tipologia di opere che allo stesso tempo, almeno a mio parere, ne rappresenta anche la bellezza, è legata all’estrema variabilità delle scale che interessano, e che sono interessate, dall’opera.

Mi spiego meglio: lo studio di un’infrastruttura portuale non può prescindere dalla sua analisi partendo da una scala globale (circa l’80% del trasporto mondiale di merci avviene via mare) fino a quella locale, ovvero considerando l’interfaccia territoriale tra il porto e le aree urbanizzate che affacciano direttamente su di esso (il cosiddetto waterfront).

Pertanto nell’ambito della sostenibilità non può essere data priorità a una scala rispetto a un’altra, ma devono essere affrontati gli aspetti differenti che consentano di analizzare le tematiche ambientali potendo definire gli obiettivi e quindi le azioni che evitino di dar luogo, da un lato, a scelte mosse unicamente da interessi economici, dall’altro, a scelte troppo restrittive che non permettano nessun tipo di sviluppo.

 

In tre passaggi, come si rende più sostenibile un’infrastruttura esistente?

Domanda da un milione di euro! Per provare a rispondere, forse dovremmo porci prima un ulteriore quesito: “più sostenibile rispetto a cosa?”

Questa, che potrebbe sembrare una provocazione, in realtà ci permette di analizzare il tema in passaggi sempre più ambiziosi: il primo step è ovviamente la verifica dei requisiti minimi di sostenibilità previste dalla normativa, come il rispetto dei limiti di emissione in atmosfera o dei limiti delle emissioni acustiche, fino al rispetto dei criteri della tassonomia UE.

Nella prassi, il soddisfacimento dei dettami normativi risulta sufficiente per poter definire un’opera “sostenibile” e il processo potrebbe ritenersi concluso, ma si potrebbe procedere con “un passo in più”, per esempio mediante l’applicazione del protocollo Envision, che permette di rendere, ove possibile, l’opera maggiormente sostenibile. E se si provasse con “un altro passo in più”? Si potrebbe studiare l’eventuale presenza nello scenario internazionale di soluzioni progettuali più performanti dal punto di vista della sostenibilità? E se si procedesse ancora con “un ulteriore passo in più”? Se si investisse nello sviluppo di nuove opportunità sociali o di tecnologie innovative, volte all’implementazione del valore sociale-ambientale dell’opera come l’attività di ricerca?

L’essenza stessa della sostenibilità, a mio avviso, sta proprio nella capacità di armonizzare i diversi fabbisogni e interessi, ossia scegliere l’approccio più adeguato in funzione delle esigenze del singolo progetto.

 

Un esempio di progetto che ricorda in particolare? 

Più che un progetto parlerei di un piano, in particolare della Variante al piano regolatore del Porto di Bari dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale. Cito questo esempio non tanto per la sua complessità, ma perché ha rappresentato un momento importante: ho assistito infatti a ciò che ci si auspica avvenga sempre nel campo delle valutazioni ambientali, ovvero un fattivo e trasparente confronto tra l’autorità procedente e quella competente, in piena collaborazione.

Lo scopo del nostro lavoro è anche quello di poter supportare il committente in una collaborazione attiva con il valutatore per poter raggiungere assieme l’obiettivo condiviso di massimizzare la sostenibilità.

Gli esiti concreti a cui ha portato questo tipo di approccio sono risultati tangibili nel confronto della qualità del piano sotto il profilo ambientale tra quanto inizialmente ipotizzato e in conclusione del processo di VAS.